lunedì 23 ottobre 2017

I thought that i heard you laughing

I thought that i heard you sing
I think i thought i saw you try.
I versi del titolo e i successivi sono tratti, direttamente, da quello che reputo il capolavoro degli R.E.M., Loosing my religion, un pezzo che adoro, colonna sonora dei miei momenti bui, insieme a Confortable numb dei Pink Floyd.
La leggenda vuole che nella vita siano 3 gli amori indimenticabili: quello che ti ha fatto male, la storia da favola e quello inatteso. Dei 3, quello inatteso è il solo che non ha lasciato conseguenze, anzi, con la persona in esame sono in buonissimi rapporti e il ricordare quei giorni mi dona solo piacere e il solo rimorso è come abbia mandato tutto a rotoli, ma col senno di poi, ora che la so sposata, realizzata e madre felice, la mia coscienza è a posto.
Dei restanti 2 grandi amori e mezzo (mezzo, perché mandai tutto a rotoli prima di concretizzare), invece, porto le cicatrici.
Inciso: mi si incolpi di qualunque nefandezza, ma non di non aver amato con intensità e sincerità tutte le, poche (per fortuna delle altre), donne che ho avuto o, meglio, che mi hanno sopportato, anche se non sono citate nel presente pezzo.
C'è un motivo che mi spinge a pensare loro e, in un caso e mezzo, a sentirle ancora: sono la mia ispirazione per scrivere, disegnare, vivere.
Per quanto il blocco degli ultimi anni abbia reso scarna e di bassa qualità la mia produzione, se non fosse per l'amor romantico S., quello doloroso E. e quello mancato S. (non sono la stessa persona!), forse sarei meno preso da seghe mentali, ma certamente non vivrei quel forte sentire che mi spinge a creare.
Nel vivere il rimorso di non aver provato, del non aver aiutato e del non aver preso il controllo, trovo l'ispirazione dello scrivere, un piacere che supera anche quello sopravvalutato del sesso. Non avrei dato vita ad un mondo letterario e non avrei iniziato questo blog, fonte di gioia e noia, che nessuno legge, ma a me piace scrivere.
That's me in the corner
That's me in the spotlight
(la stessa canzone di prima)
Nella materializzazione virtuale del mio angolo di tenebra, in cui metto in luce, nudo, il mio io, scrivo quello che nella realtà nascondo dietro una maschera di pirandelliana memoria, usando l'artificio del famoso aforisma di O. Wilde. Qui grido ad un mondo che non ascolta, quel che allo stesso mondo non dico, un mondo che vede e giudica, senza osservare.
Posso gridare che fui un codardo la prima volta con S. e, sempre con lei la seconda volta (durata ben 7 anni), fui quello che ha sbagliato tutto. Posso gridare che con S. fu mezzo perché non credevo in me. Posso gridare che E., sebbene mi abbia fatto male, sia la causa di tanti casini interiori, da quando preso da disperazione e amor proprio ho troncato, mi manchi come l'acqua al deserto. Sentimenti diversi, ma di pari intensità, a riprova che anche il concetto di amore non ha una sola definizione.
Mi è piaciuto aver amato, anche se adesso vivo una vita spartana e da monade, lontano dalla possibilità che altri possano avvicinarsi oltre quanto sia più disposto a concedere, per il loro bene. Ho amato amare, anche quando ha fatto male, perché era bello e genuino, nonostante nel mio donarmi anima e corpo abbia sempre tenuto per me l'angolo di tenebra, dove solo a me concedo l'ingresso. Sono contento di essermi gettato via, per il bene che provavo per lei e, nonostante il mio ego ancora gridi allo scandalo e la mia vanità da allora mi rinfacci tutto, so che in quel momento ho agito per amore, cieco e incondizionato.
Fui un coglione? Non c'è dubbio, chiunque altro avrebbe agito in modo più sensato ed egoista, ma lei, in quel momento, era il mio mondo, il mio tutto e sapere di averle donato anche solo mezzo sorriso, mi fa felice e trasforma il segno sul cuore da cicatrice a medaglia e quando Thot peserà il mio cuore dinnanzi ad Anubi e Osiride o Ade mi chiederà conto o sarò io al cospetto del tutto a scegliere se restare nella ruota del samsaara o ascendere, sarà la prova che in tanto egocentrismo ho saputo amare. Cicatrici che brilleranno come soli splendenti, le poche cose di cui sono fiero.
Ora mi nascondo, scaccio gli sguardi come scaccio le mosche, ma so che ho fatto di tutto per non creare dolore e quando ho amato ho amato veramente. Mostro una maschera odiosa e ridicola, ma va bene così.
Tutto sommato, è bene che nessuno legga.
Tutto sommato, mi va bene che non sappiano.
Accetto il freddo di quando vado a dormire solo, di quando la mancanza di un abbraccio si fa sentire, di quando sai che, magari, una voce potrebbe rallegrarti la giornata, perché quel che potevo dare è stato dato (e non mi riferisco solo ai casi in esame) ed ora sarebbe solo un miserabile cercare per prendere. Nella mia misantropia c'è troppo amore verso i miei simili,  per poter accettare qualcosa di posticcio per assecondare banali esigenze (non pensate male, il discorso è più ampio di quel che la moderna vulgata descrive) a discapito di altri.
Meglio niente, che qualcosa di posticcio.

Marco Drvso

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