sabato 11 novembre 2017

Meglio tardi

"Quando il bambino era bambino" così inizia uno dei miei film preferiti, recitando una poesia di Handke (di cui ammetto di conoscere solo quella poesia), in un magico susseguirsi di immagini, che introducono lo spettatore alla meravigliosa vicenda dell'angelo che si toglie le ali, per provare la vita vera, su consiglio di uno strepitoso ex angelo, interpretato da Peter Falk.
Da quando ho intrapreso questo nuovo viaggio interiore, scopro tante cose sui meccanismi interiori che mi hanno condotto fin qui. Come ho scritto anni fa, noi funzioniamo come un computer e le parole che ci rivolgono agiscono sul nostro sistema operativo come stringhe di comando, che possono attivare o disattivare funzioni.
I più non capiscono il peso delle parole.
In questi giorni ho lavorato come un mulo, riscoprendo il vero piacere della sana stanchezza, che disattiva tutte le sovrastrutture, riportando il sistema alla sua configurazione iniziale e, stranamente, mi sono trovato a sorridere agli sconosciuti e, anche se per brevi momenti, a vivere con una spensieratezza che non pensavo appartenermi. Poi, questa mattina, ho ascoltato alla radio il rifacimento di una vecchia canzone dei Tears for fears (cover decisamente più bella dell'originale) ed una frase è stata un autentico pugno nello stomaco.
Un ricordo è riaffiorato dalla nebbia. Nulla di tragico, né piacevole, solo un momento di tanti anni fa, che nella sua banalità ha influenzato gli anni a venire. Con lui, in questa tiepida mattina di novembre in cui il Sole faceva brillare le foglie rosse, bagnate della benedetta pioggia dei giorni scorsi, hanno cominciato a ripresentarsi altri frammenti di quando il bambino era bambino. Comparivano e sparivano come il luccichio delle gocce sulle foglie, brillando intensamente per il tempo necessario.
Ricordi di giorni belli, giorni brutti, giorni piatti, apparentemente privi di senso, presi singolarmente, ma che componevano un racconto preciso e spiegavano le tappe del viaggio, il perché delle scelte, delle vittorie e dei fallimenti.
Alcuni sembravano bruciare ancora, ma non essendo un momento da rimorsi, ma la visione del cammino, non ne sono fuggito, ma li ho incontrati e mi hanno strappato un sorriso. Non mi sono arrabbiato per vecchi errori, ma li ho accettati.
Un momento di ordinaria follia, in cui stavo per scendere in strada ad abbracciare le persone, per abbracciare quel piccoletto troppo solo, incapace di accettarsi e avvicinarsi al mondo, che vedevo brillare sulle foglie dorate di questo strambo autunno.
Un tempo lo detestavo, ora non più.
Timido, cervellotico, strambo, insicuro e spavaldo, che non capiva quanto amasse e tutt'ora ami i suoi simili e quando lo comprendo se ne allontanava, perché il primo che non riusciva ad amare era se stesso.
Non era il personaggio orribile che credeva di essere, era solo così ed ora lo sa e forse si piace.

Marco Drvso

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